
In occasione della Giornata mondiale del turismo, che si celebra ogni anno il 27 settembre, e ha avuto come tema turismo e pace, la ministra del turismo ha diramato un comunicato che ricorda la narrazione che si faceva in passato, prima che fossero coniati i concetti di turismo sostenibile e che l’UNWTO ribadisse che bisogna prestare attenzione alle comunità locali. Un testo molto breve ma eloquente di come sia ancora oggi possibile far finta che il turismo non abbia impatti o che sia l’unico motore del progresso.
Come dico sempre: accettare che anche il turismo produca degli impatti non significa che sono contrario al turismo ma che ritengo importante affrontare il tema, sforzarsi di trovare soluzioni, rispedire al mittente critiche eccessive, ma anche controbattere a chi lo vede come un qualcosa di salvifico.
Ma la ministra l’ha posta su un altro piano, poche frasi in cui ha cancellato in dibattito e gli studi di oltre venti anni che hanno prodotto una benefica maggiore consapevolezza di cosa significhi il fenomeno turistico. Preoccupante.
“… celebriamo non solo il diritto al turismo, ma anche il ruolo fondamentale del fenomeno turistico come promotore di pace e amicizia tra i popoli”. Se da un lato è condivisibile sancire che prendersela col turismo e coi turisti non va bene, la seconda parte di questa breve affermazione è già più scivolosa, perché affida al turismo un ruolo troppo positivo, dimenticandosi (proprio come si faceva in passato) e cancellando dalla narrazione un dato importante: poiché il turismo esiste se le persone viaggiano in giro per il mondo e vanno da qualche parte, oltre a loro e all’industria che sostiene tutto questo simpatico girovagare ci sono anche gli autoctoni che nei posti visitati abitano. E ciò crea impatti che vanno minimizzati.
La favola del turismo che porta prosperità e tanti altri aspetti solo positivi mi ricorda la narrazione eroica di Colombo che sì scoprì l’America in un periodo triste dominato dai terrapiattisti, ma si macchiò anche di un bel po’ di crimini contro i nativi.
Che il turismo possa contribuire, se ben pianificato, a promuovere la pace e l’amicizia fra i popoli è un bell’auspicio. Ammantarlo di un ruolo salvifico è però errato.
Non a caso nel messaggio lanciato dell’UNWTO la frase era leggermente diversa, ma il significato decisamente diverso: “I call on all of you to help build a –’peace-sensitive tourism sector’, one that plays a key role in building peace and ending conflicts, provides tourism stakeholders with tools to realize this potential, promotes tourism education as peace education, and links tourism to other peace building initiatives”. Da un lato l’invito a fare qualcosa affinché il turismo giochi un ruolo chiave per promuovere la pace, dall’altro fare educazione, e ancora collegarsi ad altre iniziative esistenti.
Ma andiamo avanti, la ministra prosegue: “Oltre a essere un’industria e un’attività economica, infatti, il turismo è un fattore sociale che unisce culture e crea legami”. Inutile commentare perché vale il discorso di su. Sarebbe bastato dire che può contribuire a unire le culture e creare legami se ben pianificato, per dare un senso onesto alla frase.
E se non vi fosse ancora chiaro dove va a parare questa impostazione narrativa, ecco a chiusura del breve comunicato, dopo alcune affermazioni condivisibili sull’etica e il benessere collettivo, l’essenza del discorso: “dobbiamo ribadire come il diritto al turismo abbia tanto una valenza attiva – nel garantire a ciascuno la possibilità di fruire delle meraviglie del nostro pianeta – quanto una carica passiva – nel riconoscere il diritto dei territori a valorizzare le proprie specifiche potenzialità turistiche”.
Alias: i turisti devono poter viaggiare – le destinazioni devono potersi valorizzare. Non c’è spazio per null’altro.
Frasi del genere sono talmente fuori luogo che faccio a fatica a comprendere come possano essere ancora oggi pensate e dette da chi ha anche una carica istituzionale importante.
Per fortuna questa giornata pe rora in Italia non sa le fila nessuno, vado avanti con il nostro approccio molto più attento a fornire del turismo una narrazione non eroica o salvifica, ovvio nemmeno pestilenziale.

