Sul pernotto minimo

Fa discutere la proposta contenuta nel disegno di legge riservato alle locazioni brevi di fissare un minimo di pernotti pari a 2. Al di là dei dubbi costituzionali su tale ipotesi, ne approfitto per fare una considerazione che porto da anni nei miei corsi sull’ospitalità turistica e nei miei scritti.

La proposta nasce immagino per fare un piacere a Federalberghi, che da decenni cerca di contrastare la concorrenza agli alberghi da parte di qualsiasi nuova tipologia ricettiva (prima gli agriturismi, poi i bed and breakfast, oggi le locazioni brevi). I sindaci delle città d’arte non hanno invece apprezzato la misura perché preferiscono dare un numero massimo di aperture.

Come dico sempre, se si vogliono porre limiti al turismo (il che da un punto di vista teorico mi troverebbe pure d’accordo) lo si deve fare ragionando su un nuovo modo di concepire il turismo, dove il concetto del limite vale per tutti, al più differenziato. Non prendersela solo con qualcuno, manco le locazioni brevi fossero il nemico che ha rovinato le città.

Ma veniamo al discorso dei 2 pernotti.

Porre un minimo di pernotti pari a 2 è cosa buona e giusta, ma non perché la legge te lo impone (fra l’altro poi si trova sempre come aggirare il limite, vedi quelli posti ai bed and breakfast); semplicemente perché conviene, specie a chi loca in casa (e intendo qua tutte le tipologie, non solo le locazioni brevi).

Conviene per diversi motivi.

1) Più i gestori di tali alloggi scimmiottano un’offerta che ricorda quella alberghiera, più andremo incontro a due fenomeni inevitabili: da un lato maggiore burocrazia e oneri per i gestori, dall’altro una clientela sempre più esigente, non essendo più in grado di distinguere l’ospitalità in casa da quella alberghiera o paralberghiera.

Ho trattato l’argomento in modo puntuale nel mio libro “Extralberghiero. Cioè?”, cui rimando per approfondimenti.

2) C’è poi un discorso meramente economico. Mentre chi è organizzato in modo imprenditoriale, con tanto di dipendenti, può anche permettersi un costante ricambio di viaggiatori cercando di mantenere inalterata la qualità e di guadagnarci pure qualcosa, per chi porta avanti l’attività in modo personale o familiare, con poche stanze a disposizione, il gioco non vale la candela. A meno che non si voglia alzare i prezzi in modo inverosimile, cosa possibile solo in alcune località, limitatamente ad alcuni periodi di maggiore afflusso.

3) Prendere qualsiasi cliente di passaggio significa offrirgli un servizio anonimo, che è la deriva che sta prendendo tutto il settore extralberghiero (locazioni brevi incluse) e che verrà giudicato per quel che è, al di fuori di qualsiasi valore aggiunto che il proprietario di casa possa offrire. Significa fare il gioco dei tanti gestori anonimi che pullulano, grazie anche alla digitalizzazione.

Insomma, decidere in modo autonomo di offrire alloggio per almeno 2 notti è utile, ci permette di distinguerci da chi offre un servizio più di tipo alberghiero, se no si continua a creare confusione, come già fanno programmi TV come 4 hotels. Ma fa ridere pensare che debba essere un obbligo.

Spero di essere stato chiaro. Se vi va di approfondire, vi aspetto al prossimo corso sull’ospitalità che organizzerò in autunno, oltre che all’interno degli incontri tecnici sul turismo all’interno di N*Stories, sempre nelle Murge.

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