Quando ero studente e vivevo in città, l’alba la vedevo solo tornando a casa
dopo qualche festa, quando le ore del giorno e della notte si mischiavano allegramente e spensieratamente. Tornavo a casa mezzo brillo, incrociavo operai in attesa del bus per andare al lavoro e un po’ mi vergognavo. O le vedevo a Capodanno, ma a Napoli il sole sorgeva da sopra dei palazzi e la poeticità andava a farsi benedire. Poi ho cambiato vita, prima di leggere “due di due” e sono sceso più a sud, dove la parola “terra” ha ancora un significato tangibile.
Ho vissuto vicino al mare e ho visto l’alba salentina col sole che emerge da
dietro gli isolotti greci che si vedono a occhio nudo e il mare che si illumina di arancione. Ho vissuto in campagna e ho visto l’alba col sole che fa capolino sopra distese di olivi.Momenti isolati, poetici nella loro eccezionalità.
A Salemi, quest’estate, alla Scuola del Viaggio c’era in programma la visione dell’alba da sopra il castello e io avevo le chiavi del castello, non sto a dirvi perché. Mi son svegliato in tempo, ma son riuscito solo a consegnarle al mio compagno di stanza prima di tornare sotto le coperte e perdermi un’emozione che dai racconti e dalle foto viste deve essere stata molto intensa.
Ora che sto raccogliendo le olive, l’alba è un elemento naturale che mi fa
compagnia, può essere poetica come quando il sole sorge da dietro la gravina materana e io sto risalendo le scalinate dei sassi per andare nei campi. O può essere avvolta da una nebbiolina fitta che tutto confonde.
Ma resta, nonostante la quotidianità dell’incontro, un momento che vale la pena di vivere quante più volte possibile.