Su questa linea, la jonica, le stazioni sono quasi tutte uguali, i treni pure. La desolazione dovuta alla dismissione in atto è palese, fanno eccezione alcune rare stazioni che vengono rispolverate per motivi turistici.
Per le altre, sembra si aspetti solo che qualcuno decida di fermare il tutto, tanto oramai su queste linee viaggiano sempre meno persone, per lo più anziani e qualche studente.
Eppure la jonica è una linea che unisce la Puglia con la Calabria passando per la Basilicata e arrivando fino allo stretto di Reggio Calabria. Potenzialmente, insomma, una linea strategica di unione fra Regioni del sud.
Sibari è una di quelle da poco riverniciate, di un colore giallino che intende far dimenticare il bel rosso di una volta..
Ci arrivo in una giornata primaverile, il paesaggio è dominato da alberi da frutto in fiore, sebbene mi dicano ci siano anche delle risaie. Il Pollino è poco distante, oramai le nevi si sono sciolte quasi del tutto anche sulle cime più alte.
Poco prima di arrivare, un controllore chiede se c’è qualcuno sul treno che parli inglese.
Io e 2 amici salentini casualmente incontrati sul tragitto ferroviario ci offriamo come interpreti, c’è uno straniero che viaggiava sull’intercity precedente proveniente da Milano ma a Trebisacce, una stazione che abbiamo appena superato, non si è capito con il controllore: gli ha detto che scendeva dal treno per correre al bar della stazione per comprare una bottiglietta d’acqua ma il treno se n’è partito. Lui ha preso il treno seguente, questo dove ora siamo anche noi e insegue il treno fuggitivo, senza bagagli, senza documenti e senza troppe speranze.
Ha lo sguardo spaurito, il viso di carnagione scura, probabilmente asiatico di origine.
Per sua fortuna, laddove le capacità linguistiche non sono all’altezza delle nuove sfide dell’Europa unita, al sud sopperiamo con una sempre valida solidarietà.
E così mentre il capotreno parla con una qualche centrale, noi traduciamo e il giovane viene invitato a scendere a Sibari, laddove il bagaglio è stato fatto scendere.
A Sibari fermano quasi tutti i treni, sono davvero pochissimi quelli che nell’arco della giornata passano da qui e poi proseguono. E’ una stazione di scambio, da qui si diramano trenini monovagone che partono per Taranto, Cosenza, Crotone, Catanzaro, Reggio Calabria.
Una stazione importante che in realtà non ha proprio nulla di interessante da raccontare.
Come sempre la differenza, da queste parti, la fanno le situazioni.
Accompagno il ragazzo, che nel frattempo ho saputo chiamarsi Mustafa e provenire dall’Afganisthan, all’ufficio della Polfer.
E’ chiuso, un addetto delle pulizia ci dice di cercarli al bar.
Immagino che ci si annoi a lavorare in una stazione così poco animata, e invece manco il tempo di entrare al bar che i poliziotti escono trascinandosi dietro un ragazzo, con cui discutono animatamente accompagnandolo verso il loro ufficio.
A me e Mustafa si è aggregata una studentessa cosentina, impaurita dal mondo delle ferrovie che conosce oggi per la prima volta.
Aspettiamo pazienti fuori all’ufficio, dopo alcuni minuti si levano delle urla, il ragazzo scappa, i poliziotti gli mandano indietro alcune imprecazioni ma lo lasciano andare.
L’ufficiale dal grado più alto viene verso di noi e si scusa dell’accaduto: “è un ladro, sta sempre qua a rubare ai pochi avventori, purtroppo questi ragazzi rovinano questo splendido territorio”.
Non so ridere della sua faccia contrita, o compatirlo per il lavoro che fa, comunque siamo qua per altri motivi, la cosa migliore da fare è metterlo alla prova. Nel minuscolo ufficio, in un angolo, giacciono a terra una borsa, un giubbotto e un caricabatteria.
“E’ questo?”
“Sì”, esclama Mustafa i cui lineamenti finalmente si rilassano.
“Documento, prego”.
Mustafa mi guarda, io traduco la richiesta del poliziotto, lui imbarazzato mi dice che sono nella borsa. Ritraduco, il poliziotto da’ il permesso di rovistare nella borsa al ragazzo, io sollevato mi abbandono a pensare cosa sarebbe accaduto se fossimo stati in una stazioncina del nord est dominate dalla cultura leghista.
Mustafa intanto fa notare che il caricabatterie non è suo, l’avrà perso qualchedun’altro, e lo posa sulla scrivania del poliziotto capo.
Lui lo guarda sorpreso, gli dice di prenderselo lo stesso, Mustafa rifiuta. Poi il poliziotto dice : “tutto a posto” e dà disposizioni affinché non si facciano compilare troppe carte a Mustafa che così può proseguire il suo viaggio per chissà dove, giusto una fotocopia del documento e buonanotte.
Mustafa esce contento, mi racconta che si sta recando al CPT di Crotone, ha un appuntamento, deve presentarsi per il rinnovo dei documenti da rifugiato.
La studentessa nel frattempo ha preso un minimo di confidenza, si lancia in domande classiche, nel suo imperfetto inglese scolastico.
Che alla fine risulta migliore del mio.
E così veniamo a sapere, seduti su una rigida panchina del binario 2, che Mustafa vive, lavora ed è fidanzato in Norvegia. Non proprio dietro l’angolo, mi viene in mente pensando al fatto che siamo nell’era della tecnologia.
Poco distante, 3 persone con i denti d’oro in bella mostra, ci guardano insistentemente. Mi avvicino a loro con la scusa di sapere che ore siano e loro mi chiedono: ma perché la polizia vi ha fermato?, che è successo?, perché le urla?
Tranquillizzo la donna, ci sorridiamo. Lei traduce ai suoi amici, io me ne torno dai miei, lo sguardo rivolto verso il mare che è lì, poco distante. Bello il sud, nonostante tutto.