I codici etici di condotta. Un po’ di storia e qualche riflessione

La storia dei codici di condotta parte dall’attivismo di organizzazioni laiche e religiose della società civile, passa per la presa di coscienza da parte dell’opinione pubblica e giunge a favorire riflessioni e elaborazione di codici, linee guida e altri documenti sia a cura di organismi sovranazionali che di singoli operatori.

Ne è testimonianza un documento quale il “Codice Etico per i Turisti”, risalente al 1975 e redatto durante la Conferenza Cristiana dell’Asia (CCA); contiene 12 punti dedicati agli atteggiamenti che i turisti devono avere in viaggio per non fare danni.

Per trovare un documento dove si affrontano temi similari che sia stato redatto da organismi sovranazionali bisogna attendere dieci anni; nel 1985 l’allora WTO/OMT, in occasione della conferenza di Sofia, redige “La carta dei diritti del turismo” al cui interno trova posto il “Codice del Turista”.

Il Codice Mondiale Etico per il turismo, elaborato dall’UNWTO, risale invece al 1999.

La storia di questa agenzia è nota. Nato come organismo di rappresentanza dei grandi operatori turistici nel 1947, col nome iniziale di International Union of Official Travel Organizations (IUOTO), succedeva all’International Congress of Official Tourist Traffic Associations creato nel 1925 e dal 1934 rinominato International Union of Official Tourist Propaganda Organizations (Ferguson, 2007). Solo nel 1970 verrà denominato WTO. Ad oggi vi aderiscono circa 150 Paesi, ma alcuni Stati il cui settore turistico è significativo non ne fanno parte, come gli Stati Uniti.

Da sempre caratterizzato per una visione liberista, quando diventa Agenzia per il Turismo delle Nazioni Unite (UNWTO) da più parti c’è la speranza che si potesse liberare da quella impostazione, tanto che nei documenti finali del raduno del World Social Forum (WSF) del 2004 c’è stata una posizione di apertura nei suoi confronti. Ma già nel 2009 questa Agenzia ONU viene ritenuta uguale alle altre realtà da sempre criticate dai partecipanti al WSF, in quanto continuava ad avere un approccio neoliberista (Equations et al., 2004; FBOMS et al., 2009).

Il Codice etico non è da meno: tecnicamente, contiene i principi sullo sviluppo di un turismo sostenibile e responsabile che gli Stati e gli operatori turistici dovrebbero osservare, inseriti in dieci articoli in cui vengono trattati i seguenti temi: il contributo del turismo alla comprensione e al rispetto reciproco, all’appagamento individuale e collettivo; il turismo come fattore per lo sviluppo sostenibile, capace di aumentare il patrimonio culturale nel mentre ne fruisce; un’attività che apporta benefici; gli obblighi degli attori; il diritto al turismo.

Al di là delle critiche inerenti al rischio di restare retorici, di poter essere accettato solo sulla carta, o il suo essere facilmente aggirabile salvando le apparenze (Filgueiras, 2009), i punti critici del Codice sono altri. Appare infatti evidente come sia basato su un’ottica sviluppista, in cui si privilegiano le liberalizzazioni e le privatizzazioni (Ferguson, 2007) e le comunità locali possono solo accodarsi e al più sfruttare la occasioni fornite dal turismo.

Nel preambolo si afferma che uno dei principi basilari è “il diritto al turismo e alla libertà di movimento per motivi turistici”, una frase condivisibile che ritroviamo in qualsiasi documento dell’UNWTO ma che non si riferisce solo al diritto dei cittadini di fare turismo, bensì anche del turismo di affermarsi ovunque. Infatti poche righe dopo ci si dice convinti che “l’industria turistica mondiale possa trarre notevoli benefici da un ambiente che favorisca l’economia di mercato, l’impresa privata e il libero commercio”. E ancora la convinzione che “un turismo responsabile e sostenibile non è affatto inconciliabile con la crescente liberalizzazione delle condizioni che presiedono allo scambio di servizi”..

Non convince inoltre il ritenere che le comunità locali solo grazie al turismo “vorranno bene ai propri luoghi” (art. 4). Sebbene sia vero che il turismo possa favorire tale attenzione da parte delle comunità locali (Barretto, 2007) non è concepibile che lo si ponga come principio, quasi come se le popolazioni locali non possano stare attente al proprio patrimonio materiale e immateriale a prescindere dal turismo.

Sembra che si utilizzano gli stessi concetti che hanno accompagnato nei decenni passati campagne in settori come l’agricoltura, quando in nome della modernizzazione e dello sviluppismo si diede vita alla stagione della rivoluzione verde, con analoga produzione di diseguaglianze (Greenwood, 1992).

Il Codice Etico presenta problemi relativi anche nella sua applicabilità, poiché dà per scontato un elemento che non può assicurare, e cioè che il turismo possa svilupparsi (e deve essere lasciato libero di svilupparsi) evitando di fare danni. Una sicurezza che non può avere nessuno (Sreekumar, 2002).

E pure alcuni condivisibili obiettivi contenuti nel Codice quali il protagonismo delle popolazioni locali (art.5) risultano essere obiettivi di difficile raggiungimento; specie se si vieta agli Stati e a qualsiasi ente locale di poter intervenire contro le regole di mercato (Laurent, 2003); con buona pace di coloro che in buona fede cercano di sottolineare singoli esempi di buone prassi sparse nel mondo senza tener conto delle regole del gioco del turismo internazionale.

Al di là delle doverose critiche, bisogna segnalare che tale documento è sempre più sovente preso come riferimento dalle realtà impegnate a diffondere i valori del turismo responsabile, eccezion fatta per molte realtà spagnole. Ciò sembra è un segno del rischio che si corre a non dotarsi di chiare cornici teoriche che permetta agli operatori di turismo responsabile di non essere fagocitato nel paradigma sviluppista, e di potersi dotare di altri codici, come accadde decenni fa per il commercio equo solidale.

Bibliografia sintetica

Barretto M. (2007) – “Turismo y cultura”, in Pasos, num. speciale

Equations et al., (2004) – Dichiarazione dal WSF di Mumbai,

FBOMS et al., (2009) – Dichiarazione dal WSF di Belem

Ferguson L.(2007) –The United Nations World Tourism Organisation”, in New Political Economy, vol.12, n. 4

Filgueiras Nodar J.M.(2009) – Una critica rortiana al codigo etico mundial para el turismo, in“Pasos”, vol.7, n.2

Greenwood D.J.(1992) – “Culture by the pound: an anthropological perspective on tourism as cultural commodization”. In V.Smith (ed.), Hosts and guests.

Laurent A.(2003) – Caractériser le tourisme responsable facteur de développement durable.DGCID, MAÉ, Parigi

Sreekumar T.T.(2002) –Why do we need an alternative Code of Ethics for tourism?”, in Contours, vol. 13, n.1

Il Codice Etico per i turisti della CCA – Penang, 1975

1- Viaggia con spirito di umiltà e un genuino desiderio di conoscere meglio il popolo che vive nella nazione che stai visitando.

2- Informati sulle sensibilità degli altri popoli, evitando atteggiamenti che possano essere considerati offensivi. Ciò vale in particolar modo per le fotografie.

3- Ascoltare e osservare sono meglio che sentire e vedere.

4- Comprendi che le popolazioni native spesso hanno una concezione del tempo e modi di pensare diversi dai tuoi; ciò non significa che siano inferiori, solo differenti.

5- Invece di cercare la spiaggia del paradiso, scopri la ricchezza di incontrare un modo diverso di vivere tramite altri occhi.

6- Informati sui costumi locali, la gente del luogo sarà felice di aiutarti.

7- Invece che pensare di sapere tutte le risposte, atteggiamento tipico degli occidentali, ricordati di ascoltare.

8- Ricorda che tu sei solo uno dei migliaia di turisti che visitano una nazione, non aspettarti privilegi.

9- Se davvero vuoi sentirti “a casa lontano da casa”, è stupido buttare i tuoi soldi viaggiando.

10- Quando fai shopping ricorda che lo sconto che hai ottenuto lo devi solo a un minor guadagno del produttore.

11- Non fare promesse alle popolazioni locali a meno che tu non sia certo di poterle mantenere.

12- Spendi il tuo tempo riflettendo sulle tue esperienze quotidiane cercando di approfondire la tua conoscenza.


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