Il doppio numero della rivista Internazionale tradizionalmente dedicato al tema del viaggio è talmente interessante che merita un commento oltre che una citazione, scavalcando gli articoli che stavo per inserire in questo blog, come il prosieguo del viaggio a Sarajevo, le problematiche del tursimo a Matera e le riflessioni sulle strutture ricettive.
Non mi riferisco al pur interessante articolo su Salemi,che mi riporta alla mente le mai sopite belle sensazioni della Scuola del Viaggio in quel che era il feudo di Sgarbi e Toscani; nè agli altri viaggi uno più particolare dell’altro, per cui vale sempre la pena leggerselo.
Nell’editoriale scopro il nome di Pico Iyer, e un lungo virgolettato che inizia con un roboante: “viaggiare è un po’come essere innamorati, perché improvvisamente su tutti i sensi c’è scritto acceso”; continua asserendo che “oggi, da dove vieni è meno importante di dove vai. Ma è solo fermando il movimento che puoi capire dove andare”, e termina questa splendida argomentazione ricordando che “il movimento ha senso solo se c’è una casa a cui tornare”.
Per me che scrivo e tratto di viaggio oltre a ringraziare il direttore della rivista per aver scelto queste parole c’è poco da aggiungere, se non che io questo giornalista-scrittore non lo conoscevo e ora vedrò di rimediare.
L’articolo successivo, di Alain de Botton, apre invece un lucido ragionamento sul futuro del turismo, in salsa ottimista.
Spesso mi capita di leggere pensieri ottimistici sul turismo, ma generalmente sono poco convincenti, legati alla speranza più che al fornire validi ragionamenti, se non marcatamente propagandistici di stampo neoliberista (per cui tutto deve sembrare roseo pur di far girare l’economia).
Questo articolo mi sembra fare eccezione, basato com’è su due interessanti considerazioni:
1- Si viaggia per guarire (quantomeno dalla monotonia o dallo stress della quotidianità), o per trovare ciò che ci manca; ma se un tempo si sublimava ciò col lusso (ognuno per quel che poteva, of course), o col totale relax, oggi ci si sta rendendo conto che raggiungere il piacere non è affatto facile, rischiamo di perderci nel nostro individualismo; invece di spendere soldi guadagnati a fatica in un’impresa che spesso ci lascia ugualmente soli, si proverà a fare altro, a conoscere i luoghi, le persone… E questa potrebbe essere la sfida delle agenzie di viaggio: aiutarci a inserirci nelle realtà di ogni paese e capirle.
2- Mette in relazione i possibili cambiamenti di atteggiamento in viaggio con l’uso dell’odierna tecnologia, che ci permette di accedere alle informazioni per le quali un tempo si andava nei musei (o si prenota una visita guidata, aggiungo io), ovunque ci troviamo, e in quantità inutilmente abbondante. Da qui la sensazione che il turista (post)moderno tenderà sempre di più a conoscere i luoghi oltre la museificazione, figlia dell’Ottocento.
Inutile aggiungere che ciò è quanto da sempre fanno gli operatori di turismo responsabile; che ci sia un futuro anche per noi?