Turismo e lavoro

Quando termino una lezione sul turismo, fra le domande finali puntualmente esce quella sulla difficoltà nel trovare lavoro nel turismo. Mentre quando esco la sera incappo al contrario negli imprenditori che si lamentano per la difficoltà a trovare persone che ci vogliano lavore in questo settore. Che strano, sembra che domanda e offerta non riescano a incontrarsi. Ma è proprio così?

Segue una riflessione scomoda e bella lunghetta (spoiler!), che intende porre le basi per un’analisi lontana dalle tifoserie.

Trovare un accordo in questo periodo fra le esigenze degli imprenditori e i potenziali lavoratori appare un’utopia, un po’ come cercare l’isola che non c’è, dove per me non ci sono nè santi nè eroi, nè lato imprenditori nè lavoratori.

Eppure credo che basterebbe prendere la seconda stella a destra, quello è il cammino. Tradotto: un approccio diverso al turismo da parte di tutti, imprenditori, lavoratori e sindacati. Utopia appunto.

Vale comunque la pena analizzare le varie situazioni. Per chi intenda lavorare nel turismo, le strade sono due: far da sè o trovare lavoro. Per chi offre lavoro e fatica a trovare interesse, i motivi possono essere diversi.

Autoimprenditoria

L’autoimprenditoria abbisogna di persone capaci a farsi carico di tutto quanto serve per gestire e promuovere in modo adeguato il servizio pensato, il che non è facile e non è per tutti, non solo e forse non tanto per il capitale iniziale di cui si necessita (per fortuna ci sono tanti fondi per start up), quanto perché è necessario avere doti manageriali che in parte si possono acquisire tramite una buona formazione, ma ancor di più facendo esperienza. Faccio molta formazione ad aspiranti operatori turistici e trovo sia una strada che vada perseguita, ma senza illudersi che si possa svoltare partendo da zero. Insomma la gavetta o l’esperienza pregressa servono sempre.

Lavoro salariato

Oppure si può cercare lavoro, e qui il discorso va a intersecarsi con le difficoltà a trovare lavoratori, spesso collegate (direi a torto) col discorso del reddito di cittadinanza, cui il ministro al Turismo torna in ogni sua conferenza stampa modello crociata, sebbene sia sbugiardato dai dati, come evidenziato a più riprese dal fatto quotidiano.

Certo esistono episodi di persone che rifiutano il lavoro perché hanno il reddito o che chiedono di lavorare a nero per non perderlo. Ma viste le cifre medie del reddito non è pensabile che sia questo il vero problema, sebbene una maggiore armonizzazione fra lavoro temporaneo e reddito precario potrebbe tornare utile a tutti. Ma credo che il problema sia più di tipo psicologico. Lavorare nel turismo è dura, specie per gli stagionali. Da qui dire che i giovani non hanno voglia di lavorare ce ne passa, magari vogliono impieghi meno massacranti, il che non è un fatto così scandaoloso. Oltre al fatto che ci sono imprenditori che si comportano come vampiri, con proposte al limite della decenza, fra paghe da fame, orari di lavoro impossibili e tanto altro. Come al contrario conosco chi si fa i calcoli per lavorare in bassa stagione, fino a conseguire il minimo necessario per ottenere la disoccupazione, evitando i mesi dove girano più turisti e si lavora di più.

Sul tema, Andrea Pennacchi ha ironizzato, come sempre in modo geniale, a “Propaganda live”.

Lato imprenditore

L’imprenditore turistico, specie quello improvvisato o che non ha una cultura del lavoro (altrui), non si rende conto (o fa finta) che stare aperti molto più di quanto previsto dal contratto solo perché i turisti arrivano a tutte le ore non è un buon motivo per far lavorare gli impiegati oltre l’orario di lavoro. Nei paesi dove c’è etica del lavoro mi sono trovato in locali dove si chiude in tempo per poter poi far pulire e tutti a casa entro la fine del turno. Non c’è cliente che tenga. Ed è bene così. Invece nel turismo spesso i titolari fanno lavorare troppo i lavoratori, non riconoscono straordinari, fanno contratti per categorie inferiori o per meno ore di quanto poi venga richiesto. E il giorno di riposo non è un optional né è sindacabile, va organizzato il lavoro dei dipendenti tenendone conto. O offrono paghe da fame rispetto ai turni massacranti che chiedono di fare. L’approccio è sbagliato, perché non si educa il turista ma si è in balia dei turisti. Il che può andar bene se tu imprenditore lavori da solo, non se hai dei dipendenti.

Il costo del lavoro eccessivo

Poi però bisogna anche considerare che il costo del lavoro è decisamente eccessivo, e su questo nessun sindacalista mi convincerà del contrario. L’impianto del lavoro in Italia è datato, tarato sulle grandi aziende e su epoche passate. Ma un conto è lavorare per aziende grandi che fanno enormi profitti, altro è lavorare in micro imprese (la maggioranza di quelle che operano nel turismo lo sono), dove i guadagni sono minori o si è esposti agli alti e bassi del turismo. A guadagnare si guadagna, questo è chiaro. Ma il costo del lavoro incide: troppo il compenso orario, troppi i contributi, con grandi squilibri anche rispetto al diverso costo della vita nei vari luoghi. Se solo penso poi all’esistenza della tredicesima e quattordicesima mi viene l’orticaria: io piccolo imprenditore ti faccio lavorare 12 mesi e sarebbe corretto che ti paghi 12 mesi, non 14, specie se hai appena iniziato o hai un contratto di apprendistato. Perché sarebbe sbagliato come concetto? bisogna tornare a pensare al lavoro in modo piu equilibrato, lavori 12, ti pago 12. Per non parlare della durata della disoccupazione, eccessiva e lo dice uno che ha la partita IVA (che non equivale a dire che sono ricco, sono un libero precario, diciamo così) e non ho mai avuto nulla in più di quanto sono riuscito a farmi pagare in base alle ore di lavoro che faccio.

Se i contratti nazionali per le micro imprese nel turismo fossero più adeguati alle loro potenzialità, molti dei soprusi non avrebbero più motivo di essere.

Maggiori impegni prima di iniziare

L’idea che si possa aprire una qualsiasi attività perché si hanno dei soldi da investire, senza chiedere garanzie sulle capacità imprenditoriali è un’idea iperliberista sbagliata. Dei soldi privati uno ne dovrebbe fare quel che vuole solo se apre un’attività in proprio, senza dipendenti. Se no servirebbe qualche carta autorizzativa in più, legata alla forza lavoro necessaria, con tanto di numeri, mansioni, tipo di contratti che si intende fare, giornata di chiusura E che deve essere vincolante, chiaro a tutti, esposto online come scheda legata alle richieste di lavoro. Un approccio diverso, che responsabilizzerebbe di più gli imprenditori prima di aprire. E una chiarezza che orienterebbe meglio i possibili lavoratori.

Stufi di farsi sfruttare

Credo siamo a una svolta epocale, come già accaduto nel mondo agricolo decenni addietro. Non c’è più voglia di farsi sfruttare. Finalmente. Il turismo deve diventare più sostenibile anche rispetto al mondo del lavoro. Il reddito di cittadinanza ha al più rafforzato un desiderio, non per la cifra erogata in sè ma perché ha fornito un supporto psicologico. Siamo davanti a un bivio, mi pare. O decidiamo che il turismo va bene così com’è e si cerca manovalanza a basso costo e poco formata, o si decide che serve un nuovo approccio, che coinvolge in prima persona gli imprenditori. Il problema non è il reddito, che pure abbisognerebbe di qualche miglioria, come può accadere per qualsiasi norma innovativa.

In Spagna hanno problemi analoghi, come dimostrato in questo articolo di europa today

In conclusione (per questo post)

E intanto la stagione è partita, il ministro del partito anti-immigrati dice che servono i migranti per sopperire alle mancanze, i ragazzi si lamentano che non trovano lavoro e gli imprenditori che non trovano lavoratori. Qualcuno continuerà a farsi sfruttare, a qualcun altro andrà meglio; c’è chi rifiuterà di farsi sfruttare e chi sfrutterà il tutto a proprio vantaggio; qualche imprenditore darà paghe migliori, altri continueranno a lamentarsi e a provare a sfruttare; ci sarà chi lavorerà seriamente e chi meno.

Poi se ne parlerà in vista della nuova stagione, siamo pur sempre in Italia…

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