Nel porto di Bari, anonimo come tutti i porti che ho conosciuto, conosco Aldo, esperto dei paesi dell’est Europa perché da anni va in giro a comprare scarti di cuoio e similari per rifornire aziende pugliesi. Conosce Dubrovnik, mi dà le dritte su dove si trova la stazione degli autobus internazionali e mi rassicura sul fatto che i biglietti si possono fare direttamente sul posto, sperando ce ne siano ancora di liberi ovviamente. Lui va a Mostar, la città del ponte distrutto e ricostruito.
Sulla nave lo perdo di vista, ho scelto un biglietto poltrona, lui non so: l’ultima volta sulla tratta Olbia-Civitavecchia non ho dormito gran che per via delle luci, ma almeno le poltrone erano comode. Qui invece mi trovo in una sala con tutte le poltrone rivolte verso una parete piena di televisori, per giunta accesi su un documentario sui terremoti.
Le poltrone sono rigide a dir poco, la sala si riempie di cittadini dell’ex Jugoslavia, fra cui una assai ciarliera squadra di minibasket, che ha appena finito un torneo proprio a Matera.
Indeciso sul da farsi me ne vado a passeggio sul ponte, in attesa della partenza. Non mi son voluto informare sulle condizioni del mare, intanto soffia un forte vento di scirocco.
Ammiro la luna piena, l’estate è appena ufficialmente cominciata, poi mi assale il languorino.
Poiché su questa nave se vuoi mangiare devi ordinare all’atto dell’acquisto del biglietto e io sto viaggiando al risparmio ché la mia università neanche più i soldi per andare alle conferenze ti molla, ho optato per una caciotta casareccia della Murgia, pane di Matera e salume del Pollino comprati a poco prezzo nella salumeria sottocasa.
Torno nella sala poltrone e prendo dallo zaino la busta con le vivande, che emana un intenso sapore di pane fresco.
E niente più…
Infatti al momento di partire ho sbagliato busta, quella del mezzo chilo di pane che doveva restare a casa è in viaggio con me e l’altra…le formiche già avranno organizzato un rave.
Sono a pane e acqua seduto su una poltrona troppo rigida per la mia non più giovanissima schiena, provo a legger qualcosa, mi sono portato due libri che in realtà ho già letto, ma mi andava di averli con me; sono i due autori di viaggio che preferisco, Paolo Rumiz e Andrea Semplici. Il primo ha narrato gli orrori della guerra nel suo Maschere per un massacro, nella recente versione con nuova introduzione; l’altro ha scelto di descrivere l’Herzegovina tramite i suoi sapori.
Entrambi tratteggiano questo angolo di mondi con la solita maestria poetica, pur nella consapevolezza delle ferite presenti.
Poi le luci si affievoliscono, è ora di dormire. La notte trascorre fra ricerca della posizione giusta, mal di schiena, ragazzini vocianti e rimbrotti che si levano ogni tanto, puntualmente disattesi.
Ma anche con qualche ora di sonno, immersa dentro un incubo, in cui sogno che il mare è agitatissimo e di conseguenza sto male anche io.
Se fossi stato sveglio e il mare davvero mosso, magari avrei potuto poi descrivere scene epiche dentro e fuori la nave. E invece no, sogno di stare in viaggio col mare in tempesta, tutti nel panico perché la nave è troppo fluttuante tanto che mi ergo a eroe, mi faccio forza e mi affaccio sul ponte che in questo caso è un corridoio al coperto sospeso sul mare. Lì mi accorgo che la nave in realtà è formata da 3 diversi scafi, che si compongono e si scompongono a seconda delle asperità da affrontare, uniti da questi due ponti di vetro. E vedo manovre mozzafiato in mezzo a ostacoli di ogni tipo. Mi sveglio con le budella attorcigliate su sé stesse dalla paura; provo a pensare se queste folli immagini possano esser saltate fuori da qualche cassetto dell’infanzia, cui la paura del mare agitato mi ha fatto regredire, ma nulla, ho inventato tutto. E a giudicare dal vociare allegro che si leva in sala fin dalle prime ore dell’alba, o il mare è stato una tavola, oppure sono l’unico che lo ha sofferto.
Provo a stare ancora un po’ con gli occhi chiusi, rannicchiato alla men peggio sulla poltrona. Scorgo che i croati, avvezzi e pure ben attrezzati, hanno dormito stesi per terra, mica scemi!
Poi dopo circa un’ora mi decido a far capolino ad ammirare l’arrivo sulle coste dell’ex-Jugoslavia, il paese comunista non allineato ai diktat dell’unione sovietica, spazzato via dai venti secessionisti e dalle brame occulte dei paesi occidentali.
Gli autoctoni, abituati al paesaggio, se ne fregano; disposti a prua a lanciar gridolini di stupore e ammirazione siamo solo italiani, io e un nutrito gruppo diretto a Medjugorje. Scatto assonnato diverse fotografie una più bella dell’altra agli isolotti e alla costa che lambiamo, di cui chissà perché non rimane traccia nel mio apparecchio…
Allo sbarco incontro di nuovo Aldo, eccoci nella perla dell’Adriatico, l’antica Ragusa, ex-Jugoslavia, lato croato. Ci dirigiamo verso la stazione dei bus; ci informiamo sull’orario di partenza; cambiamo un po’ di soldi e ce ne andiamo a prendere un caffè pagato in kune. Il viaggio prosegue