Se c’è un aspetto davvero positivo del turismo è che per poter essere vissuto come esperienza particolarmente significativa e globale abbisogna di pace e di fiducia. Non trovate? Senza fiducia non ci sarebbe e non ci sarà turismo. Riflettiamoci assieme.

Sì certo ci sono coloro che viaggiano portandosi tutte le paure e i preconcetti addosso ma se ci pensate la stragrande maggioranza di noi viaggia con istintiva fiducia. Se così non fosse nessuno uscirebbe neanche di casa. Siamo fiduciosi che quando guidiamo nessuno ci venga contro; che può accadere certo, e guidiamo con prudenza e attenzione; ma non siamo preoccupati, diamo per scontato che non accadrà neanche, ci pensiamo. Il resto al più lo faranno i riflessi.
E’ così che va. Ogni giorno tutti i nostri spostamenti, da quelli quotidiani a quelli legati ai viaggi sono basati su un’incrollabile fede: che andrà tutto bene. Una fiducia incondizionata che non dobbiamo neanche ripeterci per convincerci, va così.
Ed è stupendo che vada così.
Certo ci sono i furti sulle spiagge, ma ci andiamo lo stesso; certo ci sono ogni tanto degli incidenti con i vettori ma partiamo uguale; l’elenco delle disavventure possibili sono tante ma il turismo ha la forza di creare ottimismo, e al di là delle sue storture questo è l’aspetto più avvincente e positivo.
Ora, dopo oltre un mese in cui troppi governatori per far rispettare i provvedimenti della quarantena hanno inculcato la paura di uscire, di stare all’aria aperta, di incontrarci, mi chiedo cosa accadrà quest’estate da un punto di vista della tenuta psicologica degli italiani. Ci sono persone che se le saluti dal balcone di casa si giustificano del perché sono in giro; altri chiusi in casa terrorizzati punto; e aumentano i suicidi. La paura ci sta divorando.
L’imperativo unico dominante in Italia, e quasi solo in Italia, è stato incentrato sulla paura e sulla diffidenza. Altrove hanno già riaperto le scuole, i parchi, si può camminare per strada, si chiede solo attenzione. Piccoli gesti per ridare fiducia alla popolazione, anche se il virus circola ancora, in Austria come in Danimarca, passando per la Germania.
VIAGGIARE CON TANTA PAURA
Premetto che non prendo per buoni i dubbi sulla voglia di viaggiare, la mancanza di tempo o di soldi, non perché non siano riflessioni insane, bensì perché credo che non saranno fattori preponderanti. Certo i dati forniti da Ejarque (solo il 12% degli italiani al momento intende viaggiare) sono preoccupanti, ben diversi da quel 71% di cinesi che non vede l’ora di poter tornare a viaggiare. Ma in breve tempo il dato potrebbe cambiare. Temo più la paura che si è instillata in tante persone e che si riversa contro il prossimo, che in proiezione vacanziera rischia di non essere l’ospite gradito che ci ritroviamo affianco l’ombrellone, la stanza d’albergo o il tavolo di ristorante bensì essere visto come un possibile untore. Pensate alla vergognosa caccia ai runner, con tanto di trasmissioni televisive a incitare l’odio verso chi prende un po’ d’aria lontano da tutti; al guardar male o inveire contro chiunque sia per strada senza mascherina, anche se i medici ogni giorno ribadiscono che per strada non è necessaria. Le continue delazioni. Per non parlare della psicosi collettiva rispetto alla ipotetica possibilità che il virus resti sugli oggetti, dai soldi alla spesa. Non perché non ci sia una remota possibilità che ciò accada, ma appunto con tutte queste paure verso oggetti e persone, con che coraggio e con quali prospettive viaggeremo? Col fucile in spalla oltre che con l’amuchina in tasca?
Tutto questo rischia di riversarsi sul turismo, e farà probabilmente più danni che non la mancanza di soldi per viaggiare. Perché troppa gente sarà tesa, preoccupata, sempre sul chi va là.
Già mi immagino proiettato su una spiaggia con risse per ogni persona che non si comporti non tanto come sarà previsto, quanto immaginato da ciascuno di noi. Ci saranno rimostranze costanti in ogni albergo e ristorante perché ogni viaggiatore si sarà fatto la sua idea di come devono andare le cose; insomma un calvario continuo, roba che passa la voglia di viaggiare per un bel po’.
L’unica speranza è che al di là di quando e come si potrà tornare a frequentare un lido come un ristorante, si faccia anche una campagna antipanico, che permetta a tutti noi di tornare a vedere il prossimo non come un possibile untore ma come una persona come noi.
Come è giusto che sia.
Il turismo ha bisogno di fiducia, prima ancora che di sanificazioni.
VIAGGIARE CON CAUTELA
Nello scenario meno catastrofista, se si avrà l’intelligenza di rasserenare gli animi in qualche modo, la voglia di partire quando farà caldo non ci abbandonerà, magari per meno giorni. Saremo tutti un po’ più attenti ma senza psicosi. In tal senso trovo positivo che la gente riprenda a fare due passi con i propri figli, che ci si saluta per strada magari fuori dal salumiere di turno. E se al settore culturale sarà permesso di ripartire in ottica di fornire un servizio fondamentale di lavoro al fianco di questa ripartenza psicologica il peggio sarà alle spalle.
A quel punto il problema sarà solo sul come viaggiare, bisogna vedere se le nuove norme ci daranno voglia di farlo. Se ai turisti del nord dove il contagio è stato imponente sarà impedito di scendere al sud o meno; se funzionerà davvero l’app per dirci non ho capito bene cosa. Se insomma fra norme e tecnologia ci sentiremo di nuovo sicuri o se dovremo associare all’idea di viaggiare uno scenario da incubo che quindi preferiremo evitare, se non raggiungendo qualche eremo solitario (ma come tutte le mete solitarie, se tutti le vogliono poi ben presto finiscono di essere solitarie!).
Ancora oggi l’Istituto Sanitario ha detto che siamo lontani dal poter dare una patente di immunità, in futuro vedremo. La scienza e la tecnologia non possono tutto, piaccia o meno.
Per intenderci un conto è che ci chiedano di girare con le mascherine nei vicoli di un centro storico, che in fondo è un’usanza che fino a un mese fa non capivamo e un po’ forse ci inquietava, ma l’abbiamo già vista nelle nostre città ad opera di viaggiatori dell’estremo oriente. Non serve a nulla, è un atto di rispetto nei confronti di chi ci ospita, e se fa stare tutti più sereni pazienza, ce ne faremo una ragione e la porteremo. Già mi vedo la moda scatenarsi per renderle più agreable.
Ma al mare come la mettiamo? Un conto è chiedere di distanziare di più gli ombrelloni, altro sarebbe dover stare a mare con guanti e mascherine. Così come al ristorante sarà difficile mangiare con le mascherine! Meno complesso chiedere di viaggiare con le mascherine, tanto siamo fermi e seduti in qualche posto.
Ma probabilmente saranno prescelte mete minori, quelle dell’Italia interna solitamente meno battute. E, come in molti auspicano, attività all’aria aperta.
Gli scenari sono aperti, guai però avere fretta. Con buona pace degli operatori. Sarebbe tutto più semplice se ognuno se ne dovesse stare nella propria Regione, ma temo resterà un’utopia.