Quanta fretta ma dove corri?

Così iniziava una celebre canzone di Eduardo Bennato (il gatto e la volpe). Mi è tornata in mente mentre io e decine di altri fra villeggianti e turisti di passaggio aspettiamo che qualcuno faccia capolino al bar che serve sia il campeggio sia un lido adiacente. Ne è uscita questa riflessione, che vi porgo, sul rapporto che ognuno di noi ha con la fretta in relazione ai nostri viaggi. Per sapere che ne pensate.

I villeggianti per loro indole non hanno fretta, poiché interpretano al meglio il concetto di vacanza, dal latino vacantia, la condizione di essere libero (dal lavoro, dai ritmi della quotidianità), vuoto, vacante appunto. Deve mancare qualcosa, non solo la casa dove di solito dormiamo, si intende il prendersi una pausa dallo stress, e la fretta si sa è una forte alleata dello stress. Loro, i villeggianti, fanno dell’attesa un momento della giornata, ci scappa al pi una chiacchiera col compagno di coda. Quindi non fanno troppo caso a situazioni, che pure potebbero essere criticate (poco personale, disorganizzazione, scarsa preparazione…).

I turisti invece hanno sempre fretta, scappano da un posto all’altro, hanno l’ansia da prestazione, corrono a raccogliere gagliardetti mentali per aver raggiunto o visitato un tot di siti, programmano i loro viaggi con lo stesso metodo di come si fanno di solito i bagagli, dentro c’è sempre troppa roba, che oltre a essere difficile chiuderli rischiano di esplodere in viaggio. Sono dei veri tour de force, spesso approfittando delle offerte dei voli low cost, una gara a chi fa più foto e selfie per poter dire “obiettivo raggiunto, guardate la mia collezione come aumenta”, oppure “è stata difficile, ma ce l’ho fatta”.

Mi chiedo se questa rincorsa continua, questo non staccare mai dai ritmi quotidiani faccia bene a qualcuno. Se cioè al rientro da questi viaggi ci si senta comunque meglio. Magari al termine di un estenuante weekend, si è talmente appagati dai 4 like che abbiamo ricevuto per una foto insignificante, quel minimo momento di gloria fa talmente bene alla nostra autostima che sì, nè è valsa la pena, ci sentiamo in pace con noi stessi e col mondo e tutta la fatica fatta si dissolve come per magia. Potrebbe pure essere. Ma mi chiedo cosa cambiava se la foto la facevo nella quiete più totale. O è uscito un manuale del selfie perfetto per accchiappare like, che teorizza che più sei stressato più la foto attirerà pollici in su?

E’ come ti approcci al tuo tempo libero che fa la differenza. Puoi fare il delfino spiaggiato o giocare a beach vollley, guardare il mare o le piante delle dune seduto su una panchina o fare jogging sulla spiaggia per chilometri. Basta che stacchi!

E i lavoratori? A mio avviso ben venga che anche i ritmi di chi lavora nel turismo non siano troppo accelerati, con buona pace di chi insegna che la massima efficienza passa pure per la massima velocità. Per me un bravo lavoratore non è quello che ammattisce appresso alle folle bramanti di ricevere la tua attenzione, pronte a saltarti alla giugualre se il tempo di attesa supera impalpabili limiti che fanno scattare reazioni inconsulte, bensì il saper essere un buon domatore circense delle ansie altrui.

Ma pure gli eccessi di inefficienza sono negativi. Perché un conto è non dare corda agli stressati in viaggio che non riescono a decelerare neanche la mattina quando c’è da prendere la colazione e pure che aspetti un po’ inutile che inizi a sbraitare manco l’apocalisse fosse a morderti i calcagni. Ma altro conto è lavorare col pubblico ed essere poco o nulla reattivi. Quante volte mi è capitato di trovarmi di fronte il/la bravo/a ragazzo/a alle prime armi, volenterosi sì ma totalmente inadatti? Certo quest’anno per gli imprenditori la pacchia di chi veniva a farsi sfruttare per quattro spicci è finita, si è capito che il gioco non vale la candela, non tanto grazie al reddito della cittadinanza, ma perché la pandemia ha scosso i giovani, che forse hanno capito che devono guardare al futuro con orizzonti prospettici migliori, o semplicemente non hanno voglia di lavorare in contesti affollati. Sarebbe da approfondire con interviste. Ci penso su.

Ma intanto come hanno reagito gli imprenditori? Alcuni addossando la colpa al reddito di cittadinanza, sbugiardati dai dati; altri semplicemente prendendo i primi che capitano, e ci sta, ma poi non li formano, li sottopagano e li buttano nella mischia. Tanto la stagione è breve.

Per concludere, poiché in genere la differenza fra luoghi preposti alla villeggiatura e luoghi per turisti è abbastaza marcata, al netto di qualche miscellanea che ogni tanto avviene, ci troviamo questo paradosso: nei luoghi di villeggiatura difficilmente qualcuno critica il personale, fa tutto parte del gioco, la calma prima di tutto. Bello, ideale, ma ciò non stimola gli imprenditori a scegliere persone adeguate e ben pagate, a formare i lavoratori, a far crescere nel tempo il proprio personale.

Nei luoghi turistici, invece, viaggiatori avvolti nella propria pelliccia di stress non perdonano neanche una pausa per respirare al lavoratore stagionale di turno. Male per la salute del turista e pure per quella dei lavoratori. Ma almeno c’è lo stimolo al migliorarsi.

Servirebbe un giusto mezzo ma mi sa che va così e amen

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