I sensi dell’Olio: l’udito. Suoni e parole.

Chess’ià la voscia ci la canêscita… 

“Mo so binutê e mo sond’arrivatê. Chess’ià la voscia ci la canêscita. […] Iê so binutê da lundana via pê rêvêriê a vosta signuria” **

 Così durante la raccolta riverivamo nostra signoria l’oliva!

Il ritmo del lavoro

Anna in veste di prima voce e il resto di noi a seguire in veste di coro. Il canto dava il ritmo alla raccolta e il tempo passava più velocemente.

Il ritmo musicale in armonia con il ritmo della natura e con quello umano. Niente cartellino, ma lavoro intenso. Non esistono straordinari durante la raccolta, esiste il tempo che la terra richiede, siano esse 6 o 12 ore al giorno.

Ai versi poi si alternavano le chiacchiere, le battute in allegria, le risate, stando attenti a non farsi arrivare qualche oliva in testa mentre si pettinano i rami, che partecipavano alle discussioni con il fruscio delle fronde.

Tommaso e l'Oliviero

Il volume delle conversazioni necessariamente alto, per sovrastare il ronzio di “Oliviero”, compagno quotidiano delle nostre giornate, al punto da essere considerato quasi come un amico, uno del gruppo! In fondo, è anche grazie a lui che le nostre reti si riempivano. Oliviero è infatti uno strumento che, collegato a una batteria, scuote i rami e permette di raggiungere le olive più alte (quelle che poi si cerca di evitare se si sta sotto a pettinare i rami più bassi).

Quando l’albero ci ha donato tutte le olive, si svuotano le reti nelle cassette. Il suono delle olive che ruzzolano è quasi rilassante ed è divertente ridistribuirle con le mani, sentirle rotolare per trovare una propria collocazione.

A raccolta ultimata ci si dirige verso il frantoio, dove il rumore delle macine coprirà quasi del tutto le voci dei miei compagni mentre cercano di accordarsi sull’orario di molitura.

In macchina ho l’occasione di parlare con una proprietaria dell’uliveto, che mi spiega che questo è un lavoro che ormai fa per passione, per un legame che ha con la terra e per la volontà e la soddisfazione di mangiare cose buone, auto-prodotte. Ha però anche un altro lavoro, perché a fine mese non ci si arriva con la sola agricoltura: i costi crescono e i consumatori vogliono prezzi sempre più bassi.

ritorno alla natura

Mi dice che sempre più hanno prevalenza i lavori in cui la carta è protagonista, mentre la nostra terra soffoca sotto il peso delle importazioni a basso prezzo.  Mi trovo a riflettere che il cibo è quanto di più intimo, importante e rappresentativo un popolo possa avere e un ritorno alla terra rappresenterebbe anche una riscoperta della propria identità, che ormai si va perdendo omologandosi tra fast-food e marche internazionali.

Forse dovremmo prestare un po’ più di attenzione a quanto rendiamo parte del nostro essere.

In fondo siamo quello che mangiamo.

Le parole scambiate con la mia compagna di viaggio mi risuonano in testa. 

Chess’ià la voscia ci la canêscita…La voce della verità?

** Mo’ sono venuto e mo’ sono arrivato. Questa è la voce, se la conoscete. […] Io son venuto da lontana via, per riverire vostra signoria”. Sono versi da “La cupa cupa”, canzone popolare materana (oltre che strumento musicale) che segnalava il ritorno ciclico dell’abbondanza, momento di condivisione con la comunità in forma di festa: dono di cibo in cambio di musica. Se volete, potete ascoltarla qui..

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